giovedì 30 maggio 2013

La crisi? Se ne parla a Rosignano Solvay

ALBA organizza un nuovo incontro, stavolta spostandosi in provincia.
L'appuntamento è per venerdì 31, alle ore 21, nella Sala Conferenze del Centro Rodari in piazza del Mercato a Rosignano Solvay.



Alcuni aderenti del Nodo Territoriale di Livorno presenteranno il libro di Ruffolo e Sylos Labini "Il film della crisi", e da lì partiremo per discutere insieme sulle possibili vie d'uscita dalla crisi economica e politica che tocca in particolar modo il nostro paese e che per gli abitanti di Rosignano si riflette in modo preoccupante nelle vicende degli storici stabilimenti della Solvay. 



Come spiegano Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini nel loro saggio, la crisi che stiamo attraversando non è una crisi qualunque. Dopo di essa le cose non torneranno piú come prima, perché è avvenuta una mutazione profonda del capitalismo, di natura finanziaria. Il loro libro è un contributo per riportare al centro della riflessione gli ideali politici e morali per costruire una società con maggiore eguaglianza, e una nuova etica del capitalismo contemporaneo. È un racconto che mostra con chiarezza, attraverso le tappe che hanno condotto alla crisi, una vera e propria mutazione del capitalismo. La crisi in cui sono immersi i Paesi occidentali nasce infatti dalla rottura di un compromesso storico tra capitalismo e democrazia. La fase successiva a questa rottura può essere definita come l'Età del Capitalismo Finanziario. La mutazione del capitalismo è dunque di natura essenzialmente finanziaria. Essa attribuisce alla grande impresa privata e al capitale un potere assolutamente sproporzionato rispetto agli altri fattori della produzione, soprattutto al lavoro. Per questi motivi è necessaria un'inversione della politica economica per ridimensionare il potere del capitalismo finanziario e per restituire allo Stato e alla democrazia le leve del finanziamento dello sviluppo, specialmente durante una fase di crisi. Così sarà possibile promuovere una crescita sostenibile e un più alto grado di eguaglianza e di consenso sociale. Per progredire verso una società più prospera e giusta.

Qui sotto, una breve rassegna fotografica dell'incontro.






martedì 28 maggio 2013

Strumenti da correggere o morti che camminano?


Nel novero de "Gli incontri di ALBA", il giorno 28 maggio 2013 alle ore 18,45 Marco Revelli è a Livorno per presentare, alla libreria Feltrinelli di via Di Franco 12, il suo ultimo libro, "Finale di partito".
Il sociologo cuneese spiega: “La crisi dei tradizionali partiti politici è ormai conclamata, e rischia di contagiare le stesse istituzioni democratiche. Secondo i piú recenti sondaggi, meno del cinque per cento degli italiani ha fiducia nei partiti politici. Ovunque cresce un senso di fastidio verso quella che viene considerata una «oligarchia», separata dal proprio popolo e portatrice di privilegi ingiustificati. È importante misurare le dimensioni del fenomeno e interrogarsi sulle sue cause. Con una domanda finale: è possibile la democrazia «oltre» i partiti?”
All'indomani delle elezioni nazionali e di una tornata di rinnovi di amministrazioni comunali, fra cui quella della capitale, l'argomento è di pregnante attualità: cosa rappresentano oggi i partiti? Sono strumenti un po' obsoleti da correggere e rilanciare come sostiene il neo-democrat Barca, o morti che camminano come grida nei suoi comizi Beppe Grillo?
Si tratta, come si vede, di un incontro da non perdere. Per la città labronica, un'occasione davvero unica per riflettere sull'attuale situazione politica e sui suoi possibili sbocchi.


Qui sotto, alcune foto (di S. Repole) dell'affollato incontro e del ricco dibattito che ne è seguito (si è andati avanti a oltranza, quasi fino alle 22.00... grazie alla cortesia del personale della libreria Feltrinelli!).


Riportiamo qui il testo di un'intervista a Revelli (da Il Fatto Quotidiano del 2 giugno, di Salvatore Cannavò) dove vengono affrontati alcuni dei temi ampiamente trattati dal sociologo albista nel corso dell'incontro livornese:

Marco Revelli, politologo, voce influente della sinistra radicale, accetta lo schema offerto dalle “due Italie” di Grillo anche se non fa mancare al leader Cinque Stelle una serie di critiche molto benevoli. “Ma senza che questo mi faccia iscrivere nella lista dei maestri dalla penna rossa” spiega. Revelli, in ogni caso, pensa che esista un’Italia del 50% che costituisce una “colonna liquida” che si è allontanata dal voto. Si è avvicinata a Grillo ma, poi, sembra essere scappata anche da lui.


Qual è la chiave di lettura di questa realtà sociale in mutamento?
Che la crisi colpisce trasversalmente e decostruisce vecchie fedeltà politiche. Le sfarina. Lo “tsunami” di Grillo ha intercettato un “esodo” che è cominciato diverso tempo fa e che è continuato anche dopo Grillo.

C’è quindi un’Italia che è rimasta dentro il quadro politico. Che Italia è?
Il 50% di elettori romani che ha votato è probabilmente quello che la crisi l’ha vissuta solo di striscio. Ci sono quelli che vivono di politica, su questo Grillo non ha torto: persone che vivono di appalti, consulenze e che in fondo votano per i propri datori di lavoro. C’è poi il voto di opinione, il “ceto medio riflessivo” di cui parla Paul Ginsborg. Poi un ceto medio commerciali e delle professioni. Difficile da quantificare. E che si contrappone a un 50% che invece è politicamente liquido e che è composto da precariato, cassintegrati, etc.

Se l’analisi è questa, dove sbagliano i 5 Stelle?
Non voglio dare giudizi, ma fornire analisi. Se Grillo ha ragione sulle due Italie deve anche capire che esistono “due Grillo”. Quello prima del 25 febbraio, fuori dal Palazzo e capace di farsi sentire. E quello dopo il voto, dentro il Palazzo nel quale la sua voce non si sente più perché lì ci sono delle regole. E così Grillo ha perso gli “incazzati” che volevano farsi sentire ma ha perso anche i “riflessivi” che volevano una proposta. L’Italia del 50% non si è più riconosciuta in lui e continua a rotolare fuori, non rientra nel quadro politico tradizionale.

E dove va?
Il mio più grande timore è che questa “colonna liquida” possa essere messa in corto circuito e produrre una sorta di Vajont, una colonna che si scarica sul sistema politico, schiantandolo. Come Weimar nel 1933. Questo può succedere se arrivasse un vero demagogo, altro che Grillo. Ma lo scenario più probabile è quello che definirei di una “democrazia a bassa intensità” in cui si stabilizza il quadro politico tenendone fuori la metà. Gli indignati, i catastrofici, gli “incazzati” restano fuori e il sistema funziona con chi sta dentro, i “moderati” o “centristi”.

Esiste uno scenario “C”, un po’ più ottimista?
È quello “lontano da Bisanzio”, una proposta politica “fuori dalle mura”, ma in grado di pesare nello spazio istituzionale. Un progetto radicale, alternativo all’esistente, con una classe politica non compromessa con le macerie del vecchio sistema.

Uno scenario simile può non tenere conto di Grillo?
   
No. Di Grillo vanno colti tutti gli aspetti positivi che hanno fatto sperare senza le caricature di se stesso come quella prodotta con Rodotà. Spero che il movimento avverta l’esigenza di un registro diverso, capendo che il passaggio da “fuori” a “dentro” richiede un discorso di sistema. Non basta più quello che Carlo Freccero definisce “lo stile a segmenti”. In ogni caso, l’alternativa alla democrazia di bassa intensità non può prescindere da quell’esperienza che ha reso possibile la partecipazione alla politica di coloro che non hanno mai partecipato al banchetto. Ma, ripeto, non voglio fare il maestro dalla penna rossa.





mercoledì 22 maggio 2013

ALBA a piazza S. Giovanni

Alla manifestazione della FIOM in piazza S. Giovanni, a Roma, ALBA c'era. Per il Lavoro. Per i Beni comuni. Per l'Ambiente. Perché non c'è più tempo.





martedì 21 maggio 2013

ALBA spegne la sua prima candelina


ALBA compie un anno di vita, e il nostro Nodo Territoriale lo festeggia, da una parte, apprestandosi a effettuare la rotazione degli incarichi prevista dallo Statuto, e dall'altra dando conto del lavoro svolto in questi mesi e ora reso visibile attraverso una serie di volantini che stiamo diffondendo in vari quartieri (e che potete leggere qui sotto).



E' stato un anno pieno di impegni e avvenimenti. Prima la raccolta delle firme per chiedere l'abolizione dell'art. 8 e il ripristino dell'articolo 18 sul Lavoro, poi la campagna elettorale con l'esperimento (finito sappiamo come) di "Cambiare si può", mentre di concerto andava avanti la stesura e l'approvazione da parte dell'Assemblea Nazionale del nostro Statuto, e infine la campagna di tesseramento.



Le nostre forze sono modeste, come è inevitabile per una forza politica nascente soprattutto se cerca di praticare forme di democrazia partecipativa più o meno inedite, tutte da sperimentare, ma questo non ci ha impedito di impegnarci su più fronti, a cominciare dall'organizzazione di Incontri politico-letterari (di cui trovate testimonianza in altre parti del blog e che nei prossimi mesi si moltiplicheranno), alla costituzione di Comitati tematici che stanno cominciando a produrre proposte concrete per il governo cittadino, a un continuo e approfondito lavoro di formazione e autoformazione indispensabile per non chiudere la mente nei recinti di abitudini e pratiche tanto consuetudinarie quanto obsolete.



Ci stiamo ovviamente dando da fare anche per affrontare al meglio l'ineludibile appuntamento delle elezioni amministrative del prossimo anno, delle quali avremo modo di riparlare.



Nel corso dell'anno siamo anche cresciuti numericamente, segno che il nostro paziente e umile lavoro nel cercare i punti d'incontro invece che quelli di divisione che funestano da sempre la Sinistra italiana, e la nostra pratica del reciproco rispetto di idee e opinioni diverse vissute come occasione d'arricchimento e non di litigio, sta cominciando a dare i suoi frutti.



Spenta dunque idealmente la candelina del primo compleanno, ci rimbocchiamo le maniche per continuare a lavorare, da Sinistra, per rendere migliore e più vivibile la nostra città, consapevoli dell'importanza di muoversi in una rete di respiro nazionale e addirittura europeo, portando a livello locale il risultato di idee ed esperienze universali e cercando di arricchire queste ultime col contributo del nostro modesto ma tenace lavoro sul territorio.

(Photo: by courtesy of Giacomo Bazzi) 

martedì 14 maggio 2013

Così si uccidono i Comuni!


Bilanci di previsione 2013 degli Enti Locali e prospettive della finanza pubblica
di Simona Repole

Mentre a livello nazionale il dibattito sull’IMU sembra aver catalizzato tutta l’attenzione e gli sforzi dell’ennesimo governo dell’emergenza (e si fa veramente fatica a comprendere a che tipo di emergenza si intende rispondere con questo intervento), l’autonomia finanziaria delle Regioni e degli Enti Locali (Provincie, Comuni, Comunità Montane) è sempre più compromessa.
Siamo davvero ad un giro di boa della finanza pubblica in generale e di quella locale.
La regola ordinamentale dell’approvazione del bilancio entro il 31/12 di ogni anno è ormai di fatto abrogata, visto che da anni viene puntualmente prevista per legge la proroga di questo termine; quest’anno l’approvazione è rimandata al mese di giugno.
Se nelle prossime settimane il governo non deciderà in merito ad IMU, TARES (la nuova tassa sui rifiuti) e tagli dei trasferimenti per l’anno in corso (la spending review prevede un taglio di 2.250 milioni di euro già dichiarato insostenibile dai comuni!), c’è il rischio che il termine di approvazione dei bilanci slitti ancora di qualche mese.
Questo vuol dire costringere gli Enti ad una gestione provvisoria delle proprie risorse finanziarie che diventa modalità quasi “ordinaria” per la maggior parte dell’anno e, quindi, politiche dei territori ulteriormente ridotte in termini di servizi già in essere e nuovi servizi da attivare, poiché la gestione provvisoria del bilancio consente di intervenire, di mese in mese, solo per operazioni obbligatorie per legge e per quelle strettamente necessarie ad evitare danni all’Ente.
Dopo anni di continui tagli dei trasferimenti ed inasprimento del patto di stabilità interno, viene, pertanto, consolidato lo strappo alle norme sulla corretta programmazione dell’attività degli enti locali, nonchè al principio costituzionale di sussidiarietà, vale a dire alla sovranità ed autonomia d’azione del livello di governo più vicino ai cittadini.
Finora il meccanismo del patto di stabilità ha inciso fortemente sugli investimenti. Dal 2013 si prevede anche una contrazione della spesa corrente degli Enti, cioè della spesa per i servizi ai cittadini.
Nel 2013, tra l’altro, il patto di stabilità troverà applicazione anche ai comuni con popolazione tra 1.000–5.000 abitanti, fino ad oggi esclusi da questo meccanismo. L’applicazione non sarà graduale e, quindi, avrà un impatto finanziario fortissimo anche sulle piccole realtà locali.
E non basta, dal 2014 saranno assoggettati anche le unioni di comuni formate dagli enti con popolazione inferiore a 1.000 abitanti. 
E ancora, nel 2014 entrerà in vigore il nuovo sistema di contabilità basato sull’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio di regioni ed enti locali, che mirerebbe a rendere i bilanci degli enti territoriali, compresi quelli del settore sanitario, omogenei e confrontabili tra loro.
Trattasi di una vera rivoluzione di contenuto del bilancio, un’operazione molto complessa, che potrebbe ulteriormente imbrigliare e rallentare l’attività degli Enti, nonchè limitarne ancora l’autonomia finanziaria.
Con il decreto pagamenti dell’aprile scorso, il patto di stabilità è stato allentato per l’anno 2013, per consentire il pagamento dei debiti pregressi per investimenti scaduti al 31/12/2012.
Il decreto è solo uno sblocco “una tantum” e straordinario di 40 miliardi di euro che, quindi, non risolve affatto i problemi e le criticità della finanza pubblica.
Tra l’altro, se venisse confermato che dal beneficio sono esclusi i pagamenti effettuati fino ad aprile 2013, si potrebbe creare il paradosso che gli enti che hanno pagato i propri debiti pregressi nei primi mesi del 2013 saranno esclusi dal decreto, incontrando più difficoltà con il patto di stabilità 2013. In sostanza, si rischia di penalizzare i comuni più virtuosi ed agevolare chi ha pagato con meno regolarità le proprie imprese creditrici.
Siamo a maggio e le amministrazioni non hanno ancora risposte a questioni che ad oggi dovevano essere già definite per consentire l’approvazione dei propri bilanci per l’anno 2013. La cosa preoccupante è che non è nemmeno iniziato alcun confronto tecnico sul tema.
Occorre quanto prima dare stabilità e certezza alla finanza locale e nazionale e, soprattutto, avviare immediatamente un percorso che riveda strutturalmente il sistema del Patto di Stabilità, al fine di rimuovere quegli ostacoli che oggi ci condannano ad uno stallo e ad una prospettiva di peggioramento che non ci possiamo permettere. Dal quadro sopra delineato emerge chiaramente che l’approccio alla finanza locale e nazionale degli ultimi anni, costruito sulle politiche di austerity europee, è del tutto inadeguato e insufficiente rispetto alla necessità di dare delle risposte alle emergenze ed esigenze di medio periodo del Paese e dei territori.


Scheda informativa su: Patto di stabilità e politiche europee di austerity 
Con il Trattato di Maastricht nel febbraio 1992 venne espressa la volontà degli Stati membri di raggiungere un adeguato livello di armonizzazione ed unità europea in tema, tra gli altri, di politica economica, volontà che comportava l’accettazione di forti limitazioni al potere decisionale sulle proprie finanze pubbliche con l’introduzione, a partire dal Trattato di Amsterdam del 1997, di vincoli alle politiche fiscali nazionali che hanno trovato espressione nel Patto di Stabilità e Crescita (Psc).
In estrema sintesi, i principali valori ed indici virtuosi del Patto sono:
- rapporto tra deficit e PIL inferiore al 3%;
- rapporto tra debito pubblico e PIL inferiore al 60%.
Fin dall’inizio le regole di bilancio europee sono state oggetto di forti critiche soprattutto per due motivi: insufficiente flessibilità, nel senso di non favorire politiche anticicliche nelle fasi sfavorevoli e scarsamente incentivanti nei periodi favorevoli ed effetti negativi sugli investimenti.
Il Patto di Stabilità Interno (Psi) nasce nel 1999 come strumento per supportare lo Stato nel rispetto del Psc, trasformandosi ben presto in un complesso e variabile meccanismo di controllo della spesa pubblica e di ribaltamento di buona parte dei vincoli europei su regioni ed enti locali. Un forte condizionamento da parte dello Stato sulla finanza locale e regionale, per una gestione molto centralizzata che nel tempo ha finito per minare, alle fondamenta, il concetto di autonomia finanziaria di regioni ed enti locali e lo stesso principio di sussidiarietà sancito dall’art. 118 della Costituzione.
In pratica, il meccanismo del patto di stabilità impone agli enti di conseguire, ogni anno, un obiettivo di saldo finanziario positivo - la differenza tra entrate e spese finali - non inferiore ad un certo valore individuato: un obiettivo che si concretizza in risorse che rimangono nelle casse delle regioni e dei comuni e che non possono essere spese in quanto contributo agli obiettivi di risanamento del debito pubblico nazionale.
A partire dal 2011, il calcolo del saldo finanziario è stato ancorato a criteri che hanno reso ancor più stringenti ed impegnativi gli obiettivi da raggiungere. 
Le conseguenze per gli enti che non rispettano il Psi sono:
- riduzione dei trasferimenti statali;
- limiti alla spesa corrente;
- divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziarie gli investimenti;
- divieto di procedere ad assunzioni di personale;
- riduzione delle indennità di funzione e dei gettoni presenza.
E’ stato calcolato che tra gli anni 2007-2014 il contributo finanziario complessivo apportato dai Comuni al risanamento della finanza pubblica è stato di oltre 15 miliardi di euro, di cui 40% da tagli di risorse trasferite e 60% da inasprimento del Patto di Stabilità.
E tutto questo a spese degli investimenti pubblici di regioni ed enti locali, che sono stati ridimensionati considerevolmente. Istat rileva una riduzione della spesa per investimenti tra il 2007 ed il 2011 del 23%, con effetti fortemente recessivi sull’economia locale e nazionale.
Con l’acuirsi della crisi e della difficoltà estrema di alcuni paesi, a partire dal 2010 è stato avviato, in sede europea, un processo di riforma del Psc, nel quale si sono scontrati i Paesi favorevoli ad un meccanismo rigido ed inflessibile (Germania in primis, ma anche Paesi Bassi, Svezia, Finlandia) e i Paesi più propensi ad una maggiore flessibilità, in considerazione di specifiche situazioni o fasi economiche sfavorevoli (Italia, Belgio, Francia, Spagna, Portogallo).
Questo processo ha portato all’approvazione, nel novembre 2011, di una serie di regolamenti europei, mentre nel marzo 2012 è stato definito l’accordo sul fiscal compact, che prevede una serie di “golden rule” orientate al perseguimento dell’equilibrio di bilancio, a completamento del sistema di regole che compongono la cosiddetta “governance” economica europea. I principali vincoli del fiscal compact sono:
- bilanci in equilibrio o positivi;
- correzioni automatiche da parte degli Stati in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio concordati;
- dovere di inserimento delle regole in norme nazionali, meglio se costituzionali, pena l’applicazione di sanzioni;
- mantenimento del deficit pubblico sotto il 3% del PIL, pena l’applicazione di sanzioni semi-automatiche.
Il governo Monti ha inserito detti vincoli nella Costituzione, in largo anticipo – tra l’altro – rispetto ai tempi previsti dalle normative europee, conla Legge Costituzionale n. 1/2012.
L’obbligo di partecipazione delle regioni e degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica ha assunto, pertanto, valenza costituzionale: è stato introdotto il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale e si prevede che regioni ed enti locali sono tenuti a concorrere ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
Tra il 2011 e il 2012 c’è stato un susseguirsi di provvedimenti modificativi ed integrativi del Psi, da cui oggi deriva un quadro normativo nazionale assai complesso, reso ancor più critico dal fatto che questo tema si lega ed incrocia con altre questioni: IMU, federalismo fiscale, spending review, direttiva pagamenti, ridefinizione dei controlli interni, nuovo ordinamento contabile che scaturirà dal percorso di armonizzazione dei bilanci in atto.
Se si considera anche il fatto che la recente legge costituzionale ha previsto che il ricorso all’indebitamento è consentito solo al verificarsi di eventi eccezionali, ne consegue che l’attuale quadro normativo della finanza pubblica nazionale, riformato alla luce del rigore e dell’austerity europea, non lascia più spazio a politiche economiche senza copertura: ogni nuova spesa o taglio di tasse deve essere compensato da un’equivalente riduzione di spesa o aumento delle imposte. 
Si evidenzia, infine, il recentissimo “Two-Pack”, l’ultimo regolamento rafforzativo della “governance” economica dei 17 Paesi europei aderenti alla moneta unica.
Se verrà confermato, la Commissione europea, a partire dal 2014, avrà il potere di veto sui bilanci degli Stati membri, laddove fino ad oggi poteva esprimere semplici “raccomandazioni”.
Il regolamento approvato il marzo scorso prevede che ogni anno, i governi dell’eurozona sottopongano alla supervisione di Bruxelles i propri bilanci per l’anno seguente. Alla luce dei conti presentati, la Commissione potrà decidere, volta per volta, di cassare interi punti delle manovre finanziarie chiedendo mutamenti, anche radicali, in nome della necessaria “armonizzazione” della politica economica dell’intera zona euro.
Quest’ultimo passaggio delle politiche europee del rigore e dell’austerity rappresenta probabilmente il prezzo politico più alto pagato dagli Stati membri in termini di perdita della propria sovranità nazionale.