Parte seconda
La
NATO.
Nel
1949 il trattato costitutivo della NATO aveva carattere strettamente
difensivo e si rifaceva all'art.51 della Carta ONU che prevede l'uso
della forza esclusivamente a scopo difensivo nel caso in cui uno
Stato debba difendersi da un attacco armato e non nel caso in cui
l'attacco sia imminente ma non attuale. Nel primo mezzo secolo la
NATO si attenne a questa dottrina. Negli anni 70/80, con il
progressivo tramontare della potenza sovietica, la NATO si è fatta
spiccatamente offensiva. La trasformazione radicale dello statuto
dell'Alleanza è avvenuta il 24 aprile 1999. Da trattato
eminentemente difensivo, l'alleanza si è trasformata ufficialmente
in forza di intervento globale, ampliando aree e motivazioni di
intervento. Al centro di questa trasformazione vi è il "Nuovo
concetto strategico", che prevede l'utilizzo delle forza come
strumento di gestione delle crisi, l'intervento e la proiezione
della forza estesa alla periferia dei paesi membri e a tutte le aree
in cui si preveda il pericolo di interruzione del flusso di risorse
energetiche. Questo ruolo decisamente offensivo ha prodotto la
"guerra umanitaria" nella ex Jugoslavia, l'intervento in
Irak e l'invasione dell'Afghanistan, tuttora in corso, che vede anche
la partecipazione dell'Italia.
Oggi le ragioni di una partecipazione
dell'Italia sono passate da difensive a offensive a conferma del
controllo egemonico che si prefigge l'alleanza. Le strategie messe in
atto dalla NATO si fondano su interventi militari che svincolano la
sicurezza dalla pace e si realizzano nell'occupazione dei territori
di altri popoli. L'intervento militare in Libia dove la situazione, nonostante il silenzio mediatico, è tutt'altro che pacificata è
dimostrata dalla partenza per Sigonella di un nutrito contingente di
marines avvenuto nei giorni scorsi. Nell'eventualità tutt'altro che
remota di un coinvolgimento militare diretto in Siria, (le
implicazioni nell'attuale guerra civile siriana sono note) e in
futuribile attacco all'Iran, l'Italia sembra ancora una volta
destinata a svolgere un ruolo di primo piano oltre che di partner
militare, come base logistica o "portaerei" di tutta l'area
mediterranea e mediorientale. Ci sembra importante cercare di capire
che cosa è la Nato oggi; uno strumento di copertura politica per i
crimini di guerra di alcune nazioni? Un centro di potere politico ed
economico? Un tavolo di mediazione di interessi tra nazioni e
potentati? Il ramo commerciale dei produttori di armi? Un racket dove
si offre protezione in cambio di un pizzo politico? Uno strumento di
penetrazione economica? Una SpA della guerra come ampio core business
dove a decidere è l'azionista di maggioranza? Sicuramente
tutto questo e altro ancora…
Inoltre è utile riportare
l'attenzione su questioni, teorizzate e applicate dai generali
atlantici, che vanno "oltre la guerra" al terrorismo; quali
il controllo della cooperazione civile per fini militari, le tecniche
di gestione del nemico interno e il peso economico che esercitano
sulle società le strutture dell'alleanza attraverso la gestione dei
bilanci militari e degli apparati industriali che lavorano per la
cosiddetta difesa. Senza dimenticare la questione non secondaria
degli armamenti atomici e dello scudo antimissile nella versione
obamiana. Un richiamo anche agli stretti rapporti tra la politiche
militari della Nato e dell'Unione Europea che ci permette di
evidenziare come a volte sia l'UE a fare da apripista alla Nato, in
particolare nel tentativo di sottrarre ai parlamenti il controllo
degli interventi militari.
Per l'Italia mostrarsi un fedele
alleato comporta scelte economicamente e socialmente costose, quali
la ristrutturazione delle proprie forze armate verso modelli sempre
più economicamente gravosi e militarmente aggressivi, secondo quanto
prevedono i dettami atlantici e il mantenimento di un dispendioso
complesso industriale per costruire armi e fornire dividendi agli
azionisti. Il tutto per poter poi partecipare, per puro calcolo
politico o anche solo elettoralistico, alle guerre decise degli
alleati.
Le
spese militari nel Bilancio 2013
In
un contesto di riduzione della spesa pubblica e dei servizi ai
cittadini, sanciti da tagli sia ai ministeri,sia agli enti locali,
sia da provvedimenti come la Spending Review , risalta invece che il
ministero della Difesa riesce a mettere a bilancio un aumento del
proprio budget nel prossimo triennio. Il bilancio del ministero passa
infatti dai 19.962 milioni dell'esercizio 2012 a 20.935 di euro nel
2013, fino a 21.024 milioni di euro nel 2015. In tre anni, il
ministero della Difesa aumenta del 5,3% le proprie risorse, pari a
più di un miliardo di euro. Il modello di difesa, aldilà dei limiti
della Legge di Bilancio, prevede da oggi al 2024 la riduzione degli
organici dell'esercito di 40mila unità (da 190mila a 150mila
soldati, anche se oggi il numero complessivo dell'esercito non supera
le 183mila unità) e la riduzione del personale civile a 20mila
unità, dalle quasi 30mila in servizio oggi. La visione del ministero
consiste nel risparmiare risorse di personale per raggiungere un
modello di spesa meno orientato alla manodopera e più agli
investimenti. Inoltre, nella Legge di Bilancio ritorna il tema della
presenza militare italiana all'estero, voce peraltro fuori dai
capitoli di spesa del ministero della Difesa. Il ritiro dall'Iraq ha
ridotto l'impegno italiano a circa 6600 unità (oltre 2000 in meno
rispetto al 2007). Per il futuro lo stesso governo Monti impegna per
il 2013 oltre un miliardo di euro per le missioni militari
all'estero, lanciando un segnale preoccupante per quanto riguarda sia
gli oneri, sia le scelte di politica estera e di ricorso allo
strumento militare già per il 2013.
(Da
rapporto di Sbilanciamoci 2013 e dall'Articolo "Riconvertiamoci"
di Gianni Aliotti")
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