Parte Prima
1. Il
problema dell'informazione.
Il
contesto delle relazioni internazionali pone una serie di quesiti che
si intrecciano e si compendiano rendendo spesso difficile
l'interpretazione dei dati necessari per una lettura obiettiva degli
scenari che regolano i nuovi equilibri planetari. Un quadro dal
quale emergono, per occhi distratti o profani, chiavi di lettura
parziali e incomplete. Il nodo esiziale resta quello
dell'informazione: la reperibilità delle notizie e la natura delle
fonti, la validità e la frequenza del dibattito pubblico, i suoi
sviluppi o l'assenza di continuità, giocano un ruolo fondamentale
nella disinformazione dell'opinione pubblica sui retroscena dei
rapporti di forza fra gli stati competitori e le concause che li
generano. Per quanto riguarda l'Italia c'è da notare che dopo la
caduta del muro e l'adesione incondizionata alla NATO da parte di
quelle forze politiche che ne mettevano in discussione modalità e
scopi, la qualità complessiva dell'informazione sugli avvenimenti di
politica estera, ha subìto una involuzione che attesta il nostro
paese su posizioni decisamente omissive e antidemocratiche. Prevale
un accordo bipartisan non scritto che dà luogo a un'autocensura nei
rapporti tra gli schieramenti politici in teoria alternativi, che
annulla di fatto nelle valutazioni e nei comportamenti
politico-decisionali le differenze ideologiche. La politica estera è
stata espunta da tutti i dibattiti di "approfondimento"
televisivo e la diffusione delle notizie viene affidata ai
telegiornali tramite le agenzie filo-governative o ai comandi delle
alleanze (NATO).
La carta stampata salvo casi sporadici non fa
eccezione agli indirizzi prevalenti. Il motivo è palese: NATO, WTO, FMI, con l'aggiunta della UE, rappresentano un unico organismo che
spartendosi le sfere d'influenza monopolizza l'informazione
arruolando un' opinione pubblica ripiegata esclusivamente sui
problemi delle emergenze economiche interne.
Stante questi
presupposti è appropriato parlare di manipolazione delle notizie.
Budget delle spese militari, concessioni di territori e appoggio
logistico per basi militari "alleate", costi delle
operazioni di "peace keeping", ingerenza negli affari
interni degli stati, rovesciamenti di governi e relative operazioni
di guerra, vengono minimizzate e spacciate per necessarie ai fini
della sicurezza interna. La parola d'ordine che caratterizza le
guerre del nuovo millennio, oltre all'indifendibile costo di vite
umane, di distruzione delle infrastrutture e di devastazione
dell'ambiente e dei beni culturali, è il silenzio informativo. Non
ci sono più resoconti di cronaca né cronologie di immagine, e
l'esito è quello dell'occultamento dei reali motivi dei conflitti e
delle complicità nel loro svolgimento.
La inosservanza di codici e
trattati internazionali e gli stessi dettami dell'ONU sono oggetto di
continue violazioni che ne minano la credibilità. Si passa così
dopo la fase di giornalismo embedded dei primi anni 90, a una fase di
silenzio e di oblìo informativo che tende a rimuovere gli eventi.
Il
risultato è duplice: la disinformazione dell'opinione pubblica e
l'effetto do not disturb legato a operazioni spacciate per umanitarie
o portatrici di nobili ideali, che in realtà nascondono gli
interessi e gli orrori di tutte le guerre. Un dato questo, tanto più
inquietante considerata l'epoca delle comunicazioni a tutto campo
come quella in cui viviamo. Internet non è sufficiente a soffocare
il rumore di fondo della propaganda a tutti i livelli, della
pubblicità commerciale e dei programmi di intrattenimento che viene
propinata a ogni ora del giorno dal sistema dei media, finalizzata al
convincimento di trovarci nel "migliore dei mondi possibili"
e alla gratitudine verso chi ce lo concede. Sono inclusi in tutto
questo l'accettazione della "responsabilità" o del "senso
dello stato" nei confronti delle alleanze sovranazionali e il
tacito ma poco subliminale "premio" in termini economici e
di sicurezza, nell'essere fiancheggiatori degli stati più forti
economicamente e militarmente guidati dagli USA. Questi ultimi hanno
raggiunto una potenza militare senza precedenti nella storia per cui
parlare di Impero in senso classico risulta quasi riduttivo. La
potenzialità militare di questa nazione (e la spesa esorbitante
destinata agli armamenti cui vengono costrette anche le potenze
concorrenti), ha una dimensione che è più corretto definire
planetaria. Attraverso di essa colonizza il resto del pianeta in
maniera tutt'altro che indolore. Si scelgono però in un copione
supercollaudato, nemici infinitamente più deboli (e non a caso
detentori di materie prime) per l'esportazione dei principi
democratici o umanitari, perché nel mondo globalizzato la
distruttività degli armamenti non è solo monopolio di uno stato pur
elevato a superpotenza. La partita si gioca infatti con le cosiddette
potenze emergenti come la Cina, considerata la più accreditata rivale
, l'India e la dismessa potenza sovietica che è oggi la Russia, che
determinano la competizione globale e la corsa all'accaparramento
delle risorse. La teorizzazione e la pratica della guerra infinita di
Bush rispondono a questa "esigenza". Il primato mondiale in
vista del controllo dei mercati e del reperimento delle risorse
energetiche residue. In questo non fa eccezione come potenziale
concorrente rivale nemmeno l'Unione Europea.
Per
una forza dichiaratamente antiliberista, si pone quindi sia il
problema della pace e della cooperazione internazionale, sia quello
di una corretta informazione che dia la possibilità di valutazioni
più obiettive e corrette.
Il trincerarsi dietro forme revansciste di
patriottismo, di razzismo e di dispregio verso culture e popoli
diversi, crea un clima di intolleranza alla base di tutte le forme di
prevaricazione. La visione occidentale-centrica (in verità assai
interessata) portava a identificare nel comunismo "l'impero del
male", ovvero il nemico da battere. Ad esso si è sostituito un
altro nemico che ha la stessa desinenza grammaticale ma che si chiama
"Terrorismo". Manipolandone il significato terminologico e
traslandone la negatività semantica sui soggetti prescelti, si
compie un'operazione mediatica apparentemente legittima che in realtà
presiede agli obiettivi prefissati, affatto nobili e legali.
Le
procedure sono in primo luogo di ordine culturale e sempre tendenti
al convincimento dell'opinione pubblica. In un cliché supercollaudato, nel caso degli Stati Uniti si fa sempre riferimento
a due aspetti storico-culturali radicati nel senso comune o
nell'immaginario collettivo. Dall'epopea del West: stati canaglia
sono quelli che rifiutano le direttive provenienti dal centro
dell'Impero detentore-elaboratore delle leggi ed evolutosi a "impero
del bene". La taglia sui capi di stato nemici, Noriega, Saddam,
Milosevic e Gheddafi (inesorabilmente ex alleati) estesa in un impeto
calvinista anche ai familiari.
L'altro aspetto è quello
riconducibile alla II Guerra Mondiale. La patente di"
liberatori" è sancita dopo 70 anni, anche nel caso
dell'appoggio alle peggiori dittature, o nonostante Hiroshima e
Nagasaki , nonostante i milioni di morti disseminati in Corea e in
tutto il Sud-Est asiatico (Vietnam -Cambogia- Laos-Thailandia) e le
centinaia di migliaia in tutto il continente latino-americano al solo
scopo di preservare le popolazioni dall'infezione comunista o da
qualsiasi istanza che ne ricordasse i connotati: organizzazioni
sindacali, sistema elettorale, partecipazione popolare alla vita
politica, rifiuto delle sperequazioni, riforme sociali. Qui la
definizione di "pulizia etnica" "operata da squadroni
della morte" alle dipendenze di Washington, elaborata ad hoc da
un'agenzia di pubbliche relazioni nel caso della ex Yugoslavia, non
era stata ancora coniata. Ancora una volta per i nemici esposti alla
gogna mediatica senza possibilità di difesa, si ricorre al richiamo
storicizzato che riconduce all'automatismo del sentimento comune di
riconoscenza verso i liberatori: Saddam era stato unanimemente
classificato l'Hitler del Golfo. Una copertina di Panorama diretto da
Carlo Rossella lo aveva raffigurato nell'icona frankensteiniana con i
punti di sutura nel cranio della creatura resuscitata. Lo scalpo dei
due figli uccisi fu esposto in pubblico. Anche l'ex presidente serbo
Milosevic, lasciato morire in carcere prima della definitiva udienza
processuale, era stato classificato come dittatore. Nonostante fosse
stato eletto per due mandati e senza la presenza di portaerei
nell'Adriatico, contrariamente al suo successore Dijndic. Anche in
questo caso furono adottati entrambe gli schemi classici: la taglia
per la cattura saldata in due tranches e la reidentificazione di
Hitler dei Balcani.
Per l'Italia, mai dismesso paese di
frontiera che ospita dislocate sul territorio nazionale decine di
basi statunitensi, vale ricordare la correlazione tra la stagione
dello stragismo che da Portella della Ginestra fino alla stazione di
Bologna, ha sempre coinciso con la crescita del movimento operaio nel
dopoguerra. La memoria corta non aiuta a ricostruire le motivazioni
alla base delle azioni dei servizi segreti deviati dello stato e le
varie organizzazioni illegali, collegati con quelli di oltreoceano.
Mentre si stornava l'attenzione dell'opinione pubblica sul fasullo "rapporto Mitroki"n in realtà si gettavano le basi di una nuova
stagione di appiattimento analitico, complice delle successive
avventure militari, con i risultati cui assistiamo di una completa
mancanza di critica e di informazione.
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