Nel novero de "Gli incontri di ALBA", il giorno 28 maggio 2013 alle ore 18,45 Marco Revelli è a Livorno per presentare, alla libreria Feltrinelli di via Di Franco 12, il suo ultimo libro, "Finale di partito".
Il sociologo cuneese spiega: “La crisi dei tradizionali partiti politici è ormai conclamata, e rischia di contagiare le stesse istituzioni democratiche. Secondo i piú recenti sondaggi, meno del cinque per cento degli italiani ha fiducia nei partiti politici. Ovunque cresce un senso di fastidio verso quella che viene considerata una «oligarchia», separata dal proprio popolo e portatrice di privilegi ingiustificati. È importante misurare le dimensioni del fenomeno e interrogarsi sulle sue cause. Con una domanda finale: è possibile la democrazia «oltre» i partiti?”
All'indomani delle elezioni nazionali e di una tornata di rinnovi di amministrazioni comunali, fra cui quella della capitale, l'argomento è di pregnante attualità: cosa rappresentano oggi i partiti? Sono strumenti un po' obsoleti da correggere e rilanciare come sostiene il neo-democrat Barca, o morti che camminano come grida nei suoi comizi Beppe Grillo?
Si tratta, come si vede, di un incontro da non perdere. Per la città labronica, un'occasione davvero unica per riflettere sull'attuale situazione politica e sui suoi possibili sbocchi.
Qui sotto, alcune foto (di S. Repole) dell'affollato incontro e del ricco dibattito che ne è seguito (si è andati avanti a oltranza, quasi fino alle 22.00... grazie alla cortesia del personale della libreria Feltrinelli!).
Riportiamo qui il testo di un'intervista a Revelli (da Il Fatto Quotidiano del 2 giugno, di Salvatore Cannavò) dove vengono affrontati alcuni dei temi ampiamente trattati dal sociologo albista nel corso dell'incontro livornese:
Marco
Revelli, politologo, voce influente della sinistra radicale, accetta
lo schema offerto dalle “due Italie” di Grillo anche se non fa
mancare al leader Cinque Stelle una serie di critiche molto benevoli.
“Ma senza che questo mi faccia iscrivere nella lista dei maestri
dalla penna rossa” spiega. Revelli, in ogni caso, pensa che esista
un’Italia del 50% che costituisce una “colonna liquida” che si
è allontanata dal voto. Si è avvicinata a Grillo ma, poi, sembra
essere scappata anche da lui.
Qual
è la chiave di lettura di questa realtà sociale in mutamento?
Che
la crisi colpisce trasversalmente e decostruisce vecchie fedeltà
politiche. Le sfarina. Lo “tsunami” di Grillo ha intercettato un
“esodo” che è cominciato diverso tempo fa e che è continuato
anche dopo Grillo.
C’è
quindi un’Italia che è rimasta dentro il quadro politico. Che
Italia è?
Il
50% di elettori romani che ha votato è probabilmente quello che la
crisi l’ha vissuta solo di striscio. Ci sono quelli che vivono di
politica, su questo Grillo non ha torto: persone che vivono di
appalti, consulenze e che in fondo votano per i propri datori di
lavoro. C’è poi il voto di opinione, il “ceto medio riflessivo”
di cui parla Paul Ginsborg. Poi un ceto medio commerciali e delle
professioni. Difficile da quantificare. E che si contrappone a un 50%
che invece è politicamente liquido e che è composto da precariato,
cassintegrati, etc.
Se
l’analisi è questa, dove sbagliano i 5 Stelle?
Non
voglio dare giudizi, ma fornire analisi. Se Grillo ha ragione sulle
due Italie deve anche capire che esistono “due Grillo”. Quello
prima del 25 febbraio, fuori dal Palazzo e capace di farsi sentire. E
quello dopo il voto, dentro il Palazzo nel quale la sua voce non si
sente più perché lì ci sono delle regole. E così Grillo ha perso
gli “incazzati” che volevano farsi sentire ma ha perso anche i
“riflessivi” che volevano una proposta. L’Italia del 50% non si
è più riconosciuta in lui e continua a rotolare fuori, non rientra
nel quadro politico tradizionale.
E
dove va?
Il
mio più grande timore è che questa “colonna liquida” possa
essere messa in corto circuito e produrre una sorta di Vajont, una
colonna che si scarica sul sistema politico, schiantandolo. Come
Weimar nel 1933. Questo può succedere se arrivasse un vero demagogo,
altro che Grillo. Ma lo scenario più probabile è quello che
definirei di una “democrazia a bassa intensità” in cui si
stabilizza il quadro politico tenendone fuori la metà. Gli
indignati, i catastrofici, gli “incazzati” restano fuori e il
sistema funziona con chi sta dentro, i “moderati” o “centristi”.
Esiste
uno scenario “C”, un po’ più ottimista?
È
quello “lontano da Bisanzio”, una proposta politica “fuori
dalle mura”, ma in grado di pesare nello spazio istituzionale. Un
progetto radicale, alternativo all’esistente, con una classe
politica non compromessa con le macerie del vecchio sistema.
Uno
scenario simile può non tenere conto di Grillo?
No.
Di Grillo vanno colti tutti gli aspetti positivi che hanno fatto
sperare senza le caricature di se stesso come quella prodotta con
Rodotà. Spero che il movimento avverta l’esigenza di un registro
diverso, capendo che il passaggio da “fuori” a “dentro”
richiede un discorso di sistema. Non basta più quello che Carlo
Freccero definisce “lo stile a segmenti”. In ogni caso,
l’alternativa alla democrazia di bassa intensità non può
prescindere da quell’esperienza che ha reso possibile la
partecipazione alla politica di coloro che non hanno mai partecipato
al banchetto. Ma, ripeto, non voglio fare il maestro dalla penna
rossa.
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